25 ottobre 2012 - Atelier Svojc

 

Vojc Sodnikar Ponis

7 – 2, le cifre con cui la materia si fa struttura di pensiero.

Scultore per vocazione istintiva, in anni di febbrile ricerca Vojc Sodnikar Ponis ha maturato una consapevolezza che gli consente di affidare la riflessione plastica all’immediatezza dello scolpire e dell’individuare l’immagine all’interno del blocco di pietra; la sua poetica è segnata da una stretta fedeltà ai principi creativi ispirati a una purezza ascetica. L’artista studia preventivamente la materia nella quale sa leggere il presagio dell’opera da realizzare; così organizza un piano ideativo di profondo nesso tra ritmo e spazio, tra allusione metaforica e animazione formale, tra semplici presenze verticali e segni peculiari che le distinguono. Il bell’equilibrio si attua tra le tensioni minimaliste e lo slancio costruttivo dei volumi, inseriti in precise logiche di figure composte. Il processo di riduzione non è mai spinto al limite dell’azzeramento, semmai verso una marcata attenzione alle superfici, dove tracce di scrittura sono ben visibili in un contesto seriale che esibisce una sorta di tramatura in rilievo; qui Vojc Sodnikar Ponis imbriglia l’emozione che sta alla base del suo lavoro artistico.

Nell’attuale rassegna, la galleria diventa una sorta di contenitore testimoniale, dove lo sguardo dell’osservatore consuma - dentro una cornice architettonica “sacrale” - la sensazione dell’avvolgimento, variabile secondo il punto di vista in cui si colloca.  Sette elementi lapidei si ergono con sviluppo verticale a sottolineare la “magia” di uno spazio dove un cerchio virtuale a pavimento è “tracciato” per allusione dalle facce interne arcuate delle sculture, poste lungo un’intuibile circonferenza. Il tutto nasce da un’operazione mentale di forte impatto razionale: il progetto iniziale parte dalla considerazione di sette cerchi sul pavimento, sei dei quali dislocati in maniera da formare, con gli spazi risultanti dalla loro tangenza, delle figure; queste, opportunamente ridotte per eliminare alcuni angoli acuti, costituiscono la sezione su cui si eleva ogni singolo elemento in pietra di Lipica. In tal modo l’opera “7-2” (composta da 7 piccole colonne, disposte in 2 corpi in stretta relazione fra loro, grazie alla rotondità di base dichiarata dal loro sistemazione ) mostra in maniera articolata la dialettica tra la materia e l’ambiente dove è installata. E poi ci sono gli apporti della luce sulle superfici, mosse e scheggiate con una specie di tratteggio o zigrinatura; il ritmo spaziale non è mai uguale a se stesso, nella sequenza in senso circolare di corpi simili, ma diversi per struttura formale e per condizione epiteliale (la “pelle” della scultura), eppure accomunati dal fatto di situarsi con una faccia arcuata sulla medesima circonferenza, quella che alla base dell’installazione si intravede nella disposizione in circolo di sei opere. La settima è un po’ più defilata, inserita nello spazio di incontro e tangenza del cerchio più esterno con uno di quelli ipotizzati ad anfiteatro. Così l’artista, proteso a smuovere la geometria dalla sua concezione di fissità, produce nello spazio dell’evento una musicalità e un equilibrio tra il classico e l’archetipo. L’opera ha una sua natura semplice e una complessa; da una parte esiste la singola stele che si innalza ingaggiando con la luminosità dell’ambiente una sua specifica dialettica, dovuta anche alla tramatura dei segni, alle porzioni levigate e a quelle ruvide; dall’altra parte una visione grandangolare dell’installazione dà l’idea che i singoli elementi riescono a vivere armonicamente tra loro, esprimendo l’indizio simbolico di un’aspirazione a un mondo concorde; essi interagiscono, si incontrano e si confrontano realizzando una struttura compositiva dove si parla il linguaggio ascetico di forme stabili, avvitate a volumi che si “muovono” sulla forma arcuata della faccia con cui si guardano e sulla diversità strutturale delle altre.

Il pensiero di Vojc Sodnikar Ponis, tradotto nella cifra scultorea intitolata “7 – 2”, sembra invitarci a entrare in questo “tempio profano” dove è possibile partire dall’idea di armonia che lo permea per assaporare un ottimismo, nel quale giace una speranza in orizzonti migliori, grandi assenti nelle drammatiche flessioni dell’era contemporanea.

Enzo Santese
critico d'arte

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